Robot mossi dal pensiero
Una scoperta sensazionale giunge da un gruppo di ricercatori dell’università di Pittsburgh e della Carnegie Mellon University. Ciò che vedevamo realizzato soltanto in film di fantascienza sembra essere a portata di mano: impiantando un chip nel cervello di un macaco, gli scienziati sono riusciti ad insegnargli ad utilizzare un braccio meccanico attraverso i soli segnali neurali, senza l’utilizzo di alcuna interfaccia come joystick e simili. Il braccio era composto da una giuntura simile ad una spalla, una simile ad un gomito ed una pinza alla fine. La performance dell’animale dopo alcuni giorni di addestramento è risultata sorprendente. La scimmia riusciva ad afferrare da diversi punti dello spazio dei bocconi di cibo ed a portarseli alla bocca nel 61% dei casi.
Questo risultato è di per sé notevole, ma ciò che ha davvero colpito i ricercatori è che la scimmia dimostrava un grado di adattamento al nuovo arto sorprendentemente sottile e raffinato: in alcuni casi, se un pezzo di cibo restava attaccato ad una delle due estremità della pinza, gli animali mantenevano questa aperta per leccarlo via, o addirittura usavano la pinza stessa per spingere il cibo in bocca. L’animale insomma scopriva nuovi modi per utilizzare il braccio, fatto che sarebbe stato impossibile osservare in condizioni di simulazione.
Questo non è il primo esperimento di interazione cervello- macchina: uno altrettanto interessante è stato pubblicato nel 2006 da parte di studiosi della Brown University. Impiantando una griglia di elettrodi della dimensione di 4×4 mm, simile a quella usata per l’esperimento sopracitato, è stato possibile per un soggetto umano tetraplegico controllare un cursore su un computer. Essendo il computer direttamente collegato alla corteccia motoria, per muovere il cursore è stato necessario soltanto che questi immaginasse il movimento di un braccio, fenomeno possibile grazie al fatto che anche dopo anni di inutilizzo, i neuroni mantengono comunque la loro funzionalità. Il controllo non si è rilevato preciso quanto quello di un soggetto sano con un mouse: in compiti in cui il soggetto doveva muovere un cursore fino ad un punto stabilito dello schermo la percentuale di successi oscillava tra il 73% e il 95%.
Non è l’accuratezza comunque l’unico problema che si pone allo sviluppo di questa tecnologia. In entrambi gli esperimenti i sensori impiantati nella corteccia motoria protrudevano dalla testa e necessitavano un collegamento via cavo con le apparecchiature il che aumentava il rischio di infezioni. Inoltre gli elettrodi sembrano deteriorarsi dopo alcuni mesi dall’impianto per ragioni ancora da accertare.
Il fatto però che il dibattito scientifico si stia spostando su problemi tecnici e non concettuali significa comunque che ci si avvicina sempre più all’applicazione su larga scala di questi ritrovati. È probabile che in un futuro non molto lontano pazienti con lesioni al midollo spinale possano utilizzare protesi meccaniche per interagire con l’ambiente, la ricerca potrebbe impegnarsi per cercare di fare arrivare un feedback dall’arto sostitutivo, così da ripristinare anche la funzione tattile; questa tecnologia potrebbe addirittura fare in modo che l’interazione tra essere umano e macchina possa avvenire senza interfaccia ma collegando l’output di un calcolatore direttamente al cervello. Immaginate un futuro nel quale i computer non avranno più schermi né tastiere, in cui sarà possibile accedere alla rete in qualsiasi momento da qualsiasi luogo con la stessa facilità con cui si pensa a cosa si è mangiato la sera prima. La conoscenza diverrebbe davvero a portata di mano, ed i litigi che quotidianamente abbiamo con i nostri computer sarebbero solo un ricordo.
Nonostante il fascino che trasmette questa prospettiva, lo sviluppo di tali tecnologie, soprattutto se applicate a soggetti sani, non ha potuto evitare di sollevare delle riflessioni etiche. Un’intera branca della bioetica si occupa di quello che viene definito enhancement umano, o miglioramento umano, cioè di tutte quelle pratiche volte a migliorare la prestazione intellettuale e fisica dell’uomo. Il tema è molto attuale, basti pensare alla nascita di associazioni come il Transhumanism, e, per quanto il proposito sembri condivisibile, di fronte a questa possibilità sorgono diversi problemi di natura politico-sociale. Ad esempio, come regolamentare queste pratiche? Come gestire l’accesso a questo tipo di interventi e come stabilire dei limiti? Qualora queste pratiche dovessero divenire davvero fruibili, potremmo vedere ridefinirsi il concetto di corpo, di psiche, di essere umano.