PTSD: Le strazianti ferite della mente
di Mauro Cavarra
Questa criptica sigla, PTSD, sta per Post Traumatic Stress Disorder ed indica un disturbo estremamente invalidante cui vanno incontro soggetti che sono stati esposti a violenti eventi traumatici. Uno dei primi ad occuparsi di questo tipo di disturbi fu il padre della psicanalisi, Sigmund Freud, che ebbe occasione di visitare in qualità di psichiatra i veterani della prima guerra mondiale, che , pur apparendo del tutto sani prima della guerra, in seguito alle azioni di combattimento, in cui non necessariamente rimanevano feriti, sviluppavano un disagio psicologico che li portava a rivivere il trauma anche per periodi considerevolmente lunghi.
Questi studi tra l’altro diedero un forte impulso al suo lavoro di teorico, consentendogli di elaborare la teoria del narcisismo e di giungere al dualismo pulsioni di vita – pulsioni di morte. Il disturbo da stress post traumatico viene inserito nel DSM III, il manuale diagnostico psichiatrico di riferimento internazionale, nel 1980 dopo i numerosi casi verificatisi durante la guerra nel Vietnam, grazie all’opera di pressione e sensibilizzazione operata dalle associazioni dei veterani che cercavano ì di ottenere il rimborso delle cure psichiatriche dalle società private di assicurazione sanitaria.
Non stupisce che al tempo Freud definisse questi disturbi come “nevrosi da guerra”. Il PTSD, così come altri tipi di disturbi d’ansia causati da eventi traumatici, diventano un problema primario in paesi in cui ancora oggi vi sono conflitti aperti. E non lo sono solo per i soldati. Uno studio condotto da Elie Karam dell’ Institute for Development, Research, Advocacy and Applied Care di Beirut, Libano, ha raccolto dati riguardanti un enorme campione di civili (circa 2800 soggetti), ed ha rilevato che ben il 70% di questi era stato vittima di eventi traumatici causati dal conflitto che imperversava sul paese. I risultati mostrano come gli esposti al conflitto fossero sei volte più a rischio della popolazione normale per quanto riguarda disturbi d’ansia, tre volte più a rischio per disturbi d’umore, e ben tredici volte più a rischio per sindromi da discontrollo degli impulsi. Rilevazioni impressionati, soprattutto se le congiungiamo al fatto che in Libano la presenza di professionisti psichiatri e psicologi sembra essere molto contenuta a detta dello stesso Chatterji, coautore dello studio.
Non sono i civili le uniche vittime della guerra. Nei soldati impegnati nei conflitti più recenti (Iraq, Afghanistan) si è visto un netto aumento di casi di PTSD, ma questo non deve far pensare che le guerre di adesso siano più terrificanti di quelle di una volta o che gli uomini col tempo si siano “rammolliti”. L’ ”arte” del guerreggiare si evolve e sono sempre meno gli uomini che muoiono in seguito alle ferite di combattimento grazie alla migliore attrezzatura ed al progresso della medicina. Ma questi sopravvissuti, soffrono di ferite diverse, come perdita di memoria e svenimenti causati dalle onde d’urto delle esplosioni. Per chiarire questo fenomeno, il governo americano ha deciso di monitorare i soldati di ritorno dalla guerra
I risultati sono inquietanti come spiega Charles W. Hoge del Walter Reed Army Institute of Research di Silver Spring, Maryland. Sembra che i soldati colpiti da esplosioni o da onde d’urto siano doppiamente a rischio di sviluppare PTSD rispetto a soldati con altro tipo di ferite, mentre quelli a cui capitava di svenire durante i combattimenti erano tre volte più a rischio sia per il disturbo da stress post traumatico che per depressione maggiore. La condizione di stress post traumatico tra l’altro non implica soltanto il continuo rivivere del trauma subito sia in sogno che in forma allucinatoria, spesso si accompagna a perdite della memoria, fattore che contribuisce a deteriorare la qualità di vita del soggetto.
Un ulteriore aspetto insidioso di questo disturbo è che spesso non si rivela se non dopo parecchio tempo che i soldati tornano a casa, e spesso questo si accompagna a impulsi aggressivi, alcolismo, probabilmente volto a sedare l’ansia, ed oscillazioni d’umore. Il disturbo può rimanere latente per mesi sostiene Charles Milliken e colleghi sempre del Walter Reed Army Institute of research, inoltre i soggetti più colpiti sembrano essere i soldati che decidono di abbandonare la carriera militare una volta rientrati in patria.
Ecco cosa bisogna aggiungere ai costi della guerra oltre al sangue sparso, alle vite distrutte e alle terre devastate. Ma come affrontare questo disturbo? Come curare le vittime di questa sindrome così invalidante?
Dai tempi di Freud ad oggi è stato proposto un ampio ventaglio di terapie. Tra le più efficaci sembra esserci la terapia di tipo cognitivo, che si è rivelata determinante nel ridurre l’emarginazione sociale del soggetto. Queste si compongono in genere di quattro fasi:
- Valutazione pre trattamento, in cui si studia il problema del paziente e lo si contestualizza
- Scelta di un obiettivo, una volta raggiunto verrà spostato un po’ più in la, per avvicinarsi gradualmente alla guarigione
- Applicazione del programma, in cui si elaborano strategie tappa per tappa.
- Valutazione dei risultati, in cui terapeuta e paziente valutano i risultati ottenuti, ed in cui si decide se proseguire la terapia o meno.
Altri elementi psicoterapici utili in questo setting si sono rivelati essere la terapia dell’esposizione, che fa in modo che il soggetto affronti gradualmente le memorie relative al trauma per facilitare l’abituazione e la sua processazione emozionale. Terapia di gruppo e strategie cognitivo- comportamentali possono inoltre sortire effetti riabilitativi.
Per quanto riguarda la cura farmacologica si utilizzano in genere sostanze che inibiscono il meccanismo di reuptake sinaptico della serotonina, oltre che sostanze volte a bloccare l’effetto dell’adrenalina sull’amigdala. Questi ultimi si rilevano particolarmente utili in casi in cui i sintomi comprendono una iperattivazione somatica.
C’è da sperare che chi sta alla scacchiera prenda coscienza di quanto detto, capisca di quante cose deve rispondere, che veda fino a dove si spingono le sue responsabilità.