Psicologia del consumatore: senso di identità e Fragole Freschissime

DI SONIA PASQUINELLI

Siamo completamente in balia della pubblicità, o abbiamo ancora almeno quel pizzico d’autonomia necessario per dirci liberi nelle nostre scelte, consumatori consapevoli e razionali?

Oggi in pubblicità possiamo parlare di una vera e propria scienza della persuasione: ogni spot, ma anche ogni immagine che ci viene proposta sotto diverse forme, vuole in un modo o nell’altro stimolare l’impulso all’acquisto di qualche prodotto. E sempre più spesso diventiamo incapaci di operare un ragionamento ponderato sulla reale utilità di quello che stiamo comprando, o di valutare con calma le diverse alternative, magari prendendo in considerazione anche quelle meno pubblicizzate.

 

Team di esperti, agenzie specializzate si pongono quotidianamente la questione di acuire questo meccanismo, per sfruttarlo al meglio. Anche noi stessi, ogni tanto, ci soffermiamo a pensarci su, ma la psicologia del consumatore ha la meglio, facendo leva sui nostri istinti con molteplici approcci, che hanno la vantaggiosa peculiarità di colpirci quando meno ce l’aspettiamo.

La “psicologia del consumatore”, che oggi va affermandosi come branca autonoma della psicologia, è lo studio del comportamento degli individui o dei gruppo nel momento in cui selezionano prodotti, li acquistano e si accingono all’uso di essi. Ma prende anche in considerazione l’approccio diquesti individui a servizi,esperienze e idee progettate per soddisfare le loro necessità e desideri.

La domanda fondamentale è: operiamo delle scelte in base ad un calcolo più o meno approssimativo del valore d’uso delle diverse alternative, o molto più semplicemente lasciamo che l’atenzione sia catturata dalla loro immagine, e ragioniamo più sul significato che i prodotti acquistano per noi e soprattutto per la società?

Oggi il consumo è un’esperienza sociale prima che personale. Si cerca la gratificazione emozionale in ogni piccolo acquisto, dal fustino di detersivo ancor prima che da un pacchetto vacanze. È come se esprimersi attraverso un acquisto potesse diventare il modo più immediato e diretto per esprimere sé stessi, ma soprattutto per comunicare la nostra aderenza ad un gruppo, sulla via dell’identificazione con esso.

Secondo gli psicologi che si occupano di indagare questi meccanismi e processi, i consumatori oggi sono persone tendenzialmente imprevedibili e flessibili, dalla personalità fortemente instabile, che hanno la necessità psicologica di attivare la propria sfera emotiva e affettiva attraverso acquisti a cui assegnano un valore a livello simbolico, e che spendono denaro solo se hanno l’impressione di confermare o modificare leggermente in una direzione vantaggiosa i propri valori e un certo stile di vita.

E i prodotti cercano di rispondere a questa esigenza. Man mano che le esigenze si fanno più sofisticate, si fanno strada prodotti specializzati, differenziati al massimo. Vengono “coperti” poli contrastanti per includere una gamma di scelte che evidenzi le differenze nello status sociale, ma non solo. È anche la pseudo-originalità e individualità ricercata dai piccoli consumatori a voler essere soddisfatta, la loro esigenza di espressione a questo superficiale livello.

 

Ecco allora l’importanza della pubblicità, il cui ruolo diventa quello di suggerire un valore “soggettivo” per ciascun prodotto in relazione allo specifico consumatore, proiettare idee che lo raggiungano stabilendo un contesto significativo in cui inquadrare il prodotto stesso, e uno stato d’animo “da associargli”. Il messaggio pubblicitario non è mai neutrale, ma è caratterizzato da un’etichetta di valore – ad esempio politico, moralo o religioso- che ha in sé la bozza embrionale dell’effetto che vuole produrre nella mente di chi la recepisce.

 

Oggi più che mai la manipolazione in questo senso è possibile. È stato sufficiente, per gli psicologi, prendere consapevolezza delle ultime strategie necessarie a combattere le minime difese che la gente comune pone in questo senso, e innalzare il livello della “qualità accattivante” di ciascun prodotto sopra una certa soglia di interesse e “appetibilità” il consumatore medio. Adattandosi di volta in volta a quello che il mercato chiede, e che improvvisamente può diventare una moda per un determinato target di popolazione.

 

Non sempre è necessaria una comunicazione indiretta, o una manipolazione che operi in maniere sottili come la comunicazione subliminale. Spesso si tratta semplicemente di intraprendere una campagna di persuasione che faccia leva su un’esigenza sociale comune, su un “nervo scoperto” della società, in modo tale da offrire una gratificazione che il più possibile si avvicini alla garanzia di un senso di sicurezza.

 

È come voler proporre al consumatore: la felicità, in cambio dell’acquisto di questo prodotto. Mettendo a nudo soltanto una parte di quello che l’acquisto stesso ha lo scopo di significare. A volte addirittura l’acquisto non viene neppure suggerito, ma quello che viene chiesto è semplicemente il porre attenzione, o il ricordare un nome, una marca. E tutto questo, sottolineamo ancora, con una promessa di gratificazione, con il proporre una realtà attraente per quanto visibilmente artificiale, una realtà pubblicitaria popolata di donne attraenti dal trucco appena ritoccato e dall’abbigliamento seducente, di ragazzini allegri e indipendenti, dallo sguardo intelligente e sicuro di sé.

 

Ma quali sono nel concreto alcuni meccanismi applicati dai pubblicitari? Su quali concetti chiave fanno leva oggi? Facciamo qualche esempio.

 

Il primo di essi è la cura della bellezza e la prevenzione nei confronti della salute, in una società in cui l’attenzione al corpo è considerata necessaria soprattutto in relazione al progressivo aumento dell’età media della popolazione. Un’atteggiamento di “paura sopita” di questo invecchiamento, e nella fattispecie del proprio, garantisce un interesse verso tutto ciò che riguarda l’attenzione al corpo.

 

Altro processo importante è l’informatizzazione crescente, per un uomo la cui vita è indissolubilmente legata allo schermo di un pc, all’antenna ormai invisibile di un cellulare, alle cuffie insonorizzate di un i-pod. Oggetti di questo tipo diventano per molti l’ultima roccaforte di contatto garantito con il mondo, attraverso la chat, o flussi di informazione veloci e inarrestabili che percorrono il globo.

 

Un’ultima necessità che possiamo portare come esempio è la ricerca di qualcosa che ci dia l’impressione di proteggere il mondo nella sua totalità naturale, globale, armonica. Ecco allora il recupero di pratiche spirituali, della ricerca personale del new age, di una generica leggerezza  e genuinità nello stile del consumo. E anche a quest’ultima esigenza risponde il mercato, con un’ampia gamma di prodotti che vanno da pacchetti vacanza improntati al trattamento del benessere personale, a prodotti cosmetici naturali, a corsi di yoga e pratiche di rilassamento.

 

Uno studio molto recente e interessante da citare a questo proposito è quello condotto da Fred VanBuren, professore di economia agricola, e i ricercatori dell’Università di Stato dell’Ohio, che pare dimostrare che i consumatori sono disposti senza alcuna remora a pagare prezzi più elevati del solito, purchè il cibo sia prodotto localmente. Ecco allora che etichette accattivanti come “fragole freschissime” o “ carne prodotta localmente”, o ancora “zucchine dell’orto”, diventa il mezzo sottile per stimolare il desiderio di sicurezza del consumatore, di quello che va al supermarket quanto di quello che frequenta i mercati in cui sono i produttori stessi a vendere la propria merce. Nello studio, uno stesso cestino di fragole veniva venduto a prezzi diversi, con un’indicazione del tipo “produzione locale” nella metà dei casi. Il risultato è stato che il cliente medio spenderebbe fino a 92 centesimi in più per un prodotto locale (risultato davvero interessante se consideriamo che 3 dollari era il prezzo di partenza del cestino di fragole). Pubblicato sull’American Journal of Agricultural Economics, l’articolo ha dato il via all’interesse per i produttori agricoli del reinvestimento di gran parte della loro produzione al livello locale, nei limiti delle possibilità a livello di economia globale.

 

Ecco dunque una delle infinite strategie di oggi mediante le quali il pubblicitario fa leva non tanto sul senso di identità costitutivo della persona,quanto della sua maschera sociale, che cambia nel tempo e nelle situazioni ma che diventa sempre più prevedibile all’occhio attento del pubblicitario, psicologo stratega.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *