Il suicidio: a cavallo di due mondi

Suicidio: a cavallo di due mondi
 
Ovvero il dilemma esistenziale di molti che, distrutti da una vita di sofferenza, vedono nella morte l’unica via d’uscita.
 
Nel mondo dei vivi si è vissuti per diversi anni. Nel mondo dei vivi sono accadute cose che hanno fatto soffrire, si sono vissuti avvenimenti che hanno demoralizzato, afflitto, distrutto. Nel mondo dei vivi si è ormai stanchi di continuare a vivere: il pensiero di un potenziale futuro angoscia, avvilisce ulteriormente, nulla di vagamente positivo potrebbe accadere.

 
Nel mondo dei morti non si è mai vissuti. Del mondo dei morti non si sa nulla, o meglio, si è sentito dire tanto, ma nessuna voce ci è apparsa come una certezza. Tanti hanno scritto e detto di tutto e di più sul mondo dei morti. Pensando all’aldilà viene alla mente il Paradiso, posto di beatitudine e spensieratezza, dove le sofferenze sono dei lontani ricordi annebbiati, un posto in cui si è materia inorganica che fluttua.
 
Il mondo dei morti sembra essere la via d’uscita ideale da un mondo dei vivi che mortifica un giorno dopo l’altro. Ma è proprio l’unica scelta possibile? L’unico modo per interrompere questa lunga sequela di sofferenze?
 
Tralasciando questioni etiche, morali e religiose, ciò che spesso accade nelle persone che vivono quello che può a tutti gli effetti essere definito come “dramma quotidiano”, è il vedere la morte come una liberazione, la tanto attesa pace, lasciando a chi ancora vive il fardello di tali angosce. Molti sottolineano quanto il suicidio necessiti di un notevole “coraggio” per la sua messa in pratica.
 
Ma siamo davvero convinti che sia davvero così?
 
Spesso, in ambito clinico, mi capita di far notare a taluni pazienti come il vero coraggio consista nell’affrontare continuamente le prove che la vita ci pone dinnanzi e, cosa ancora più importante e che aiuta sensibilmente nel renderci combattivi, è l’imparare a porsi in altre prospettive: una montagna sembra invalicabile stando alla sua base, mentre appare come una collina vista da lontano, questione di prospettive.
Le persone che si trovano in queste situazioni e che si rivolgono ad uno psicologo hanno già affrontato il passo più difficile del loro percorso, poiché hanno in primis ammesso a loro stessi di avere un problema e, in secondis, hanno concepito una via d’uscita alternativa al suicidio.
In terzo luogo il rivolgersi ad un aiuto esperto costituisce spesso un vero e proprio “salvavita” poiché sussiste l’accordo –paradossale- secondo cui un aiuto può essere fornito solo nella misura in cui si rimane nello stesso luogo di comunicazione, ovvero nel mondo dei vivi.
 
Certo, il percorso non è facile, lo è ancora meno di come lo immagina una persona dall’esterno, tuttavia vi è la certezza assoluta di quello che potrà accadere, poiché pertinente ad un mondo del quale si conoscono le regole.
 
 
 
      Dott. Gianluca Franciosi

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