Crisi di panico
La crisi di panico è probabilmente uno dei peggiori stati emotivi che una persona possa soggettivamente provare. In psicologia e psichiatria la crisi di panico si definisce Attacco di Panico ed è stata inclusa nel principale manuale internazionale sui disturbi mentali a partire dal 1980 (DSM III, APA). Le denominazioni precedenti erano quelle di “Nevrosi d’ansia” per il panico e “Nevrosi fobica” per l’Agorafobia (DSM II, 1968) e ancor prima “reazione ansiosa” per il panico e “reazione fobica” per l’agorafobia (DSM I, 1952). Anche l’altro grande manuale diagnostico (ICD-10, edito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, 1992) separa le due condizioni collocando l’agorafobia tra i “Disturbi d’ansia fobici” e il panico tra gli “Altri disturbi d’ansia”.
Classificazione delle crisi di panico
La crisi di panico è ora classificata tra i disturbi d’ansia, anche se, come vedremo, comporta quasi sempre un’emozione di paura. A tale proposito vale la pena di ricordare che ansia e paura corrispondono non solo a due stati mentali differenti, ma anche a stati cerebrali (ovvero biologici) differenti.
Sia l’ansia che la paura (come quella provata nelle crisi di panico) hanno a che fare con la valutazione dei rischi e dei pericoli che possiamo ogni giorno incontrare nella nostra vita. Queste sono funzioni fondamentali, senza le quali saremmo continuamente a rischio, quindi è bene che esistano.
Il problema nasce quando l’attivazione ansiosa o la paura sono presenti in situazioni in cui i pericoli sono marginali o assenti.
Per esempio, non di rado, chi ha sperimentato un attacco di panico comincia ad evitare i luoghi o le situazioni simili a quella dove ha sviluppato l’attacco, o anche quelle attività che possono suscitare delle sensazioni fisiche simili. Alcuni pazienti evitano l’attività fisica (che può produrre respirazione affannosa, tremori, cardiopalmo), altri le relazioni sessuali o i film horror (che possono creare un attivazione emotiva simile a quella sperimentata durante l’attacco).
In questi casi è utile chiedere la consulenza di un professionista qualificato, come uno psicologo.