Second Life: psicologia e realtà virtuale
Di Sonia Pasquinelli
Tutto cominciò con The Sims, il celebre videogioco prodotto dalla Electronic arts, simulatore di vita reale. Per la sua epoca, si trattava senza dubbio di uno dei giochi più divertenti e coinvolgenti in giro fino a quel momento. Godeva di un’ottima grafica, di un’alta giocabilità, e soprattutto aveva alla base un’idea originale che ne ha fatto la fortuna.
The Sims 2, la versione successiva, veniva pubblicizzato dai creatori stessi come “un gioco che ha un alto grado di dipendenza”, al quale probabilmente “vi ritroverete attaccati per ore e ore, anche nel pieno della notte per i primi giorni, la creazione del sims vi richiederà una buona ora di studio, non perchè particolarmete complicato (Anzi!!) ma perchè semplicemente molto divertente da effettuare.”
Si tratta di un gioco di per sé semplice (dopo 5 minuti chiunque sarebbe in grado di fare praticamente qualsiasi cosa all’interno della piccola città “a misura di sim”), ma molto affascinante e articolato, in cui tutto ciò che viene richiesto al giocatore è di portare avanti la vita virtuale di uno o più personaggi a sua completa disposizione.
In altre parole, sarà sufficiente affrontare un’alternanza di momenti critici e difficili, o periodi movimentati e instabili, e il solito tran tran quotidiano in cui nulla di nuovo accade e si conduce “un’esistenza” tranquilla.
Oggi il numero delle persone che passano gran parte del proprio tempo connesse ad internet cresce a dismisura ogni mese. Il fenomeno di una comunicazione virtuale, ossia ottenuta tramite l’intermediazione di apparecchi elettronici -da computer a telefoni cellulari- si espande a macchia d’olio.
Quale l’aspetto principale da prendere in considerazione a proposito di questa comunicazione a distanza?
Alcuni ne esaltano il potere di mettere in contatto persone che altrimenti non riuscirebbero a socializzare, altri invece condannano il progressivo isolamento di chi rinuncia a coltivare vere e proprie relazioni sociali di persona, scegliendo quella loro più congeniale tra le molte manifestazioni di vita virtuale disponibili, poiché permette di “mettersi meno in gioco” nel rapporto con gli altri.
Second life è appunto una di queste realtà parallele, sviluppata nel 2003 dalla società americana Linden Lab. Ogni membro della comunità può mettersi nei panni di un personaggio, o avatar, e interagire liberamente con altri avatar.
Le cifre di oggi raggiungono vette mai sfiorate in precedenza dai mondi 3d online: si annoverano 450.000 utenti di tutto il pianeta che partecipano costantemente in maniera attiva alla costruzione del mondo, e circa 12 milioni di utenti registrati!
I pareri di psichiatri e psicologi a riguardo sono piuttosto discordanti: c’è chi lo considera un gioco pericoloso, capace di persuadere (grazie alla forte influenza psicologica ad opera della casa produttrice che propone pubblicità accattivanti per aumentare i guadagni) gli utenti che si tratti davvero di una seconda vita nella quale sia possibile ripartire da zero, riparare ai propri errori in un ambiente verisimile in cui molti non vedono la finzione.
Un esempio di questo atteggiamento è portato dai blog in cui paiono parlare in prima persona i personaggi stessi di Second Life: “”E ora che si fa?” ho chiesto a chi mi era accanto, e Bebe (appartenente al genere delle “ragazze da nightclub”) ha proposto di fare un giro nei dintorni, per dare un’occhiata. Così, assieme a un gruppetto di coetanei mi sono avventurata lungo il sentiero di Orientation Island, scoprendo una serie di cartelli che recitavano “click me”: ho così appreso che posso toccare e spostare gli oggetti (posso farlo anche da lontano! La cosa richiede un po’ di pratica, ma io imparo velocemente), modificare il mio aspetto fisico e gli abiti che indosso… Ho il potere di cambiare tutto, ogni minimo dettaglio, lasciandomi semplicemente guidare dalla fantasia (splendida scoperta della non omologazione!)”.
Altri psicologi invece propongono Second life come strumento psicanalitico, utile per capire come il paziente si percepisce, come vorrebbe essere e agire, cosa vede nel mondo e negli altri, tenendo sotto controllo le sue reazioni.
Una peculiarità interessante di questo gioco è che il sistema stesso fornisce agli utenti gli strumenti necessari a creare, tramite un apposito linguaggio di programmazione, nuovi contenuti grafici: questo permette un’espansione dell’intero mondo che avviene davvero a velocità in crescita esponenziale. È possibile organizzare concerti e altri eventi, fondare riviste e cercare lavoro.
Avendo garantita la libertà di usufruire dei diritti d’autore su tutti oggetti che creano, che possono essere venduti o scambiati utilizzando una valuta virtuale che può essere convertita addirittura in dollari americani o euro, gli utenti sono incentivati a far uso di questa funzione del gioco.
Ecco allora che viene alla luce un’interessante caratteristica della maggior parte dei personaggi, proprio grazie al profilarsi della possibilità di guadagnare denaro tramite il gioco: un forte individualismo ed egoismo.
Poiché risulta molto importante l’apparenza, i “residenti” spendono denaro virtuale ma anche reale, usando il gioco in maniera consumistica e assolutamente non collaborativa.
Esiste una sorta di competizione nell’originalità del vestire, nel presentarsi con gadget e nell’acquistare accessori ricercati.
E in questa progressiva ricerca di autoaffermazione il gioco va avanti ad un ritmo tale che rende inadeguata la definizione di “gioco”: non si tratta infatti di seguire delle regole, o di mirare alla vittoria, bensì di creare continuamente un universo e le sue regole, proprio come la vita vera ci costringe a fare quotidianamente.
È la storia stessa che si delinea gradualmente grazie all’interazione dei personaggi, come in una specie di enorme chat room dove non solo le parole, ma anche il linguaggio non verbale è annoverato tra gli strumenti di una comunicazione reale tra personaggi sempre meno fittizi.
Video-presentazione di Second Life