Genitori di bambini
- – stress genitoriale >> test PSI
- – progressi e tappe evolutive del bambino
- – la nascita di fratelli o sorelle
- – le paure dei bambini (es. la morte: gestire i lutti)
- – i disegni dei bambini
- – LA SCUOLA:
– disturbi di apprendimento
– dislessia
– difficoltà di attenzione
– iperattività
Essere genitore è un “lavoro” di grandi soddisfazioni ma che richiede anche grande impegno e può diventare in alcune situazioni particolarmente gravoso: possono esserci difficoltà nella relazione con il figlio, bambino o più spesso adolescente, possono verificarsi periodi di crisi nella coppia, con conseguente separazione, possono accadere eventi negativi e stressanti all’interno della famiglia che influiscono sul modo del genitore di rapportarsi al proprio figlio. I genitori possono sperimentare un particolare tipo di stress, appunto definito stress genitoriale, che rende maggiormente complessa e spesso conflittuale la relazione con il figlio. L’individuazione precoce di questa condizione può permettere di affrontare i nodi problematici che la provocano in modo da impedire l’instaurarsi di uno stile comunicativo e relazionale genitore-figlio potenzialmente patologico per entrambi. Il punto di partenza è l’assunto secondo cui lo stress che un genitore sperimenta è frutto congiunto di determinate caratteristiche del bambino, del genitore stesso e di una serie di situazioni strettamente legate al ruolo di genitore: anche alcuni aspetti del temperamento del bambino possono quindi causare questa sindrome ed è importante che i genitori possano sentirsi accolti, rassicurati e sollevati dal possibile senso di colpa nel sentirsi dei “cattivi genitori”.
Durante l’infanzia dei propri figli, i genitori si trovano ad affrontare insieme a loro le principali conquiste e progressi che i bambini compiono, cioè le tappe evolutive che consentono ai piccoli già dai primi mesi di vita di sviluppare sempre nuove capacità: dall’alimentazione a base esclusivamente di latte allo svezzamento con le prime pappe, dal gattonare all’alzarsi in piedi e muovere i primi passi, dalle prime sillabe alle prime parole, dal pannolino al raggiungimento del controllo sfinterico.. sono passaggi fisiologici accompagnati da grande entusiasmo da parte dei genitori ma sono anche momenti in cui progressivamente il bambino si rende più autonomo rispetto alle cure genitoriali da cui nei primi mesi dipende in tutto. Sono dunque altre situazioni in cui si sperimenta la separazione e come tali possono rappresentare momenti di “crisi” nella relazione con il bambino. Possono verificarsi difficoltà o ritardi nel raggiungimento di queste tappe, che possono a loro volta preoccupare i genitori; un’altra situazione che per i bambini rappresenta un momento critico è la nascita di un fratellino o la nascita di una sorellina: il bambino non è più il centro della vita e dell’affetto di mamma e papà, ma sente di doverli dividere con un “rivale” e può fare fatica ad accettarlo, manifestando aperta ostilità o esprimendo il proprio disagio con un comportamento diverso dal solito (o più aggressivo con i compagni o gli adulti o più ritirato) o con una serie di sintomi fisici come tic nervosi, mal di testa, ritorno a fare la pipì addosso o a letto (enuresi), o ricercare la vicinanza e l’accudimento materno con modalità più simili ad un bimbo piccolo (regressione). Occorre particolare attenzione da parte dei genitori per non lasciare che queste situazioni diventino motivo di malessere nella relazione con i propri figli.
I sintomi precedentemente indicati come possibili reazioni all’arrivo di un fratellino possono verificarsi anche in altre situazioni che per il bambino risultano di difficile elaborazione, ad esempio un periodo di crisi della coppia dei genitori, un lutto, un evento traumatico (trauma à sezione traumi) a cui il bambino può essere stato esposto, con conseguente insorgere di particolari paure che il bambino vive ed esprime; i bambini tendono a manifestare a livello fisico o comportamentale il proprio malessere anche quando questo abbia origini emotive e psicologiche ed è importante quindi riconoscere e poter elaborare insieme ai genitori i momenti in cui queste condizioni si verificano. A questo proposito possono diventare particolarmente espressivi i disegni (LINK TEST) che i bambini fanno, che vengono infatti utilizzati a livello clinico in ambito psicologico.
Cosa può fare lo psicologo?
Durante la prima infanzia può accadere che il bambino manifesti sintomi di disagio che possono essere individuati dai genitori o segnalati dagli insegnanti a scuola: lo psicologo può supportare i genitori nel gestire eventuali stress o periodi critici del ciclo di vita della famiglia e nel decodificare i segnali lanciati dal bambino attraverso il sintomo; inoltre può aiutare direttamente il bambino a ritrovare una dimensione di benessere a livello personale e relazionale.
LA SCUOLA – Un ambito di particolare attenzione è quello scolastico: i bambini dalla materna alle elementari trascorrono gran parte della giornata a scuola e questo ambiente diventa di primaria importanza non solo per gli aspetti di apprendimento ma anche per quelli relazionali, sia con gli adulti implicati (educatrici prima e insegnanti poi) sia con i compagni e il gruppo. Scuola e famiglia si pongono quindi come “agenzie educative e risorse affettive” su cui il bambino può contare; spesso nel contesto della scuola materna o nei primi tempi delle elementari le insegnanti incontrano particolari difficoltà nel gestire bambini da loro stessi definiti “iperattivi” o agitati e incontenibili, che faticano a rimanere seduti, a seguire le attività per un tempo superiore a qualche minuto e che hanno bisogno di continue sollecitazioni. Può essere utile allora accertare se si tratti di una condizione a livello clinico significativa (ad esempio un disturbo da deficit attentivo e iperattività) (LINK) o se non siano manifestazioni di una problematica invece emotiva o affettiva che il bambino esprime invece con il proprio comportamento. Il disturbo da deficit attentivo e iperattività è una condizione clinica la cui diagnosi è basata sulla presenza e la combinazione di tratti quali l’iperattività (ad esempio la difficoltà del bambino a stare seduto nel banco o a stare fermo), la difficoltà a prestare attenzione (ad esempio la distrazione continua, l’impossibilità di soffermarsi su una stessa attività per più di alcuni minuti), e l’impulsività (ad esempio la tendenza a dare risposte affrettate senza attendere che sia stata formulata fino in fondo la domanda, la fatica di aspettare il proprio turno anche nei giochi e nelle attività strutturate).
Per quanto riguarda poi nello specifico gli apprendimenti, anche qui esistono particolari difficoltà, definite disturbi di apprendimento, D.S.A. (LINK), che impediscono ai bambini di raggiungere le acquisizioni di lettura o scrittura o calcolo al pari degli altri compagni e che non vanno sottovalutati o confusi con “poco impegno o poca voglia di studiare” per non rischiare di compromettere l’intero iter scolastico di questi ragazzi. I D.S.A. sono condizioni specifiche, che riguardano cioè isolatamente una delle abilità scolastiche: la dislessia è la difficoltà di lettura, la disgrafia concerne la produzione del linguaggio scritto attraverso l’atto motorio dello scrivere, mentre la disortografia riguarda il “come si scrivono correttamente” le parole ed infine la discalculia è la difficoltà nell’apprendere ed elaborare i numeri e nell’applicare i concetti matematici. Si fa diagnosi di D.S.A. quando il livello cognitivo, misurabile ad esempio dal Quoziente Intellettivo, è nella norma, non ci sono disturbi fisici come sordità, disturbi della vista o della motricità delle mani e le opportunità formative e scolastiche sono adeguate. Un accertamento precoce dell’esistenza di queste situazioni consente di progettare interventi ad hoc che consentono ai bambini di imparare a leggere, scrivere e contare in maniera adeguata alle proprie risorse e capacità senza intaccare la loro autostima e il loro senso di efficacia. Alle medie poi le richieste in termini di risultati e impegno nello studio aumentano ed è importante che eventuali difficoltà siano affrontate precocemente e siano quindi individuate strategie mirate prima di questo passaggio.
Che cosa può fare lo psicologo?
solitamente in situazioni di sospetto disturbo di apprendimento o disattenzione e iperattività è la scuola a lanciare il primo campanello d’allarme: lo psicologo in questi casi si occupa prima di tutto di fare una valutazione generale del funzionamento del bambino con particolare attenzione agli aspetti cognitivi ma anche emotivi, in quanto molto spesso una difficoltà a scuola nasconde un disagio di tipo relazionale o emozionale. Raggiunta una diagnosi, elabora un percorso di supporto psicologico ed eventualmente, in collaborazione con gli esperti del settore, un programma di sostegno scolastico per il bambino; può offrire inoltre ai genitori uno spazio di ascolto e di elaborazione della situazione del proprio figlio. Spesso, data la dimensione scolastica dell’emergere delle difficoltà, lo psicologo può effettuare anche consulenze ai docenti e Dirigenti della scuola frequentata dal bambino.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition, Text Revision. Edizione Italiana: Masson, Milano.
Cornoldi, C. (a cura di), I disturbi dell’apprendimento: aspetti psicologici e neuropsicologici. Bologna, Il Mulino, 1991.
Cornoldi, C., Le difficoltà di apprendimento a scuola. Bologna, Il Mulino, 1999.
Stern, D., La costellazione materna. Il trattamento psicoterapeutico della coppia madre-bambino. Torino, Universale Bollati Boringhieri, 2007