Degenerazione corticale: l’agnosia e il senso delle cose
Di Sonia Pasquinelli
“Il signore e la signora A., pensionati, abitano in una villetta della banlieue parigina. Quel giorno la coppia sta pranzando in cucina. La signora A. chiede a suo marito di passarle la caraffa. Lui assume un’aria perplessa, esita un momento mormorando «caraffa, caraffa»… e tende alla moglie una forchetta. Questo è troppo! Il giorno stesso la signora A. prende appuntamento con un neurologo per suo marito.
Durante la visita il signor A. è affabile e sorridente, appena un po’ preoccupato per la situazione. All’improvviso sua moglie prende la parola: «Non è possibile, non fa più niente. Quando gli parlo ho l’impressione che non capisca. E poi dimentica i nomi delle persone che conosciamo. È sicuramente l’inizio del morbo di Alzheimer».
Prima di confermare la diagnosi, analizziamo i sintomi del signor A. La sua memoria sembra ancora solida. Racconta le diverse fasi della sua esistenza professionale e familiare con numerosi dettagli; ricorda avvenimenti recenti di attualità. Quando gli si dà una lista di parole riesce a ricordarla, anche dopo parecchi minuti. «Dimentica tutto!», protesta la signora A.
Mostriamo al signor A. alcune fotografie raffiguranti personaggi celebri, animali, oggetti di vario genere e alimenti. E lì compaiono le difficoltà. Non riesce a riconoscerli, a volte sembra addirittura perplesso. Davanti all’immagine di uno scoiattolo, fa l’ipotesi vaga che si tratti di un coniglio o di un topo. Davanti a quella di una fisarmonica, suppone si tratti di un oggetto che serve per fare musica, ma non riesce a far vedere come si usa. I volti sono un enigma: non ne riconosce nessuno, compresi i più celebri, come quello del Presidente della Repubblica.
Allora chiediamo al signor A. di descrivere oggetti e animali affidandosi alla memoria. Quando gli si domanda che cosa sia, per esempio, un coccodrillo, ipotizza che si tratti di un grosso animale dei paesi caldi che vive in acqua. Se gli si chiede di disegnarlo, però schematizza un pesce con due zampe. Per numerosi oggetti o animali, il signor A. avrebbe perso la facoltà di rappresentarli mentalmente. Ha «dimenticato» che un elefante ha le zanne e come è fatta una forchetta. Ha difficoltà a definire con precisione l’uso di strumenti comuni: «Una pala? Serve per battere».”
Il caso clinico riportato da Patrick Verstichel nell’ultimo numero della rivista scientifica “Mente& Cervello”, di cui abbiamo riportato un estratto, è un esempio chiaro e rappresentativo degli effetti della degenerazione corticale. Non si tratta di una patologia ben definita, bensì di un quadro sintomatologico complesso comune a diverse sindromi o patologie, e frequentemente associato ad un naturale deperimento senile.
Le forbici possono tagliare uno scampolo di stoffa, lo scotch unire i lembi di un foglio strappato. Dalla nascita iniziamo ad apprendere a poco a poco il contesto d’uso degli oggetti, ed il preciso modo in cui essi devono essere utilizzati. Impariamo anche quali siano le caratteristiche distintive di ciascuna classe di elementi da noi conosciuta: il colore tipico del miele, la morbidezza di un cuscino.
Che ne è di noi nel momento in cui capita di perdere queste nozioni sull’essenza delle cose, sull’organizzazione del mondo? Come potremmo andara avanti senza delle conoscenze che ci permettano di interpretare e dare senso al mondo?
È questo il dilemma che affrontano le persone soggette a degenerazione cerebrale.
Perché parliamo di sintomo complesso? Anche se il caso esposto sembra caratterizzato da una tendenza unitaria, si tratta in realtà di un’articolata serie di deficit scomponibile dagli psicologi.
Per il signor A. , ad esempio, i volti diventano un enigma, il loro riconoscimento impossibile. Definiamo prosopagnosia il deficit percettivo responsabile di questo problema, causato principalmente da un danneggiamento selettivo del giro fusiforme, ossia l’area cerebrale deputata al riconoscimento dei volti delle persone conosciute.
Secondo alcuni teorici la prosopagnosia è semplicemente un tipo particolare di agnosia, altro deficit rintracciabile nella patologia del signor A.
L’agnosia è la perdita più generale delle conoscenze riguardanti persone e oggetti precedentemente noti, e l’uso di questi ultimi, non riconducibile ad un deficit attentivo o sensoriale. È spesso diagnosticata nel caso di quelle persone che invece di accendere una candela la portano alla bocca come fosse un cucchiaio, o scambiano la funzione di una tazza con quella di una scarpa.
Parliamo di agnosia appercettiva quando il deficit riguarda specificamente l’analisi percettiva che consiste in un’elaborazione primaria delle caratteristiche sensoriali di uno stimolo e dell’integrazione delle stesse in una percezione unitaria. L’agnosia associativa è invece la forma in cui non si riesce ad associare la conoscenza percettiva dell’oggetto con quella semantica, dando luogo a sintomi molto simili a quelli di un disturbo puro della memoria semantica. Esistono agnosie selettive per i cinque sensi, nelle quali risulta diminuita la funzione di riconoscimento di ciò che il soggetto vede, gusta, sente o sperimenta al tatto.
Una della cause più comuni di agnosia è la presenza di una forma da moderata a grave del Morbo di Alzheimer, una demenza progressiva invalidante davvero frequente nei soggetti anziani, la cui incidenza arriva al 40-45% per le persone di età compresa fra gli 80 e i 90 anni. Poiché per essa non esiste al momento una terapia di cura, sono state proposte alcune strategie terapeutiche che tentino si gestire il morbo puntando a modulare farmacologicamente i diversi meccanismi patologici alla base dei sintomi clinici
Un approccio alternativo portato avanti oggi è quello del Progetto Memo-film, nato dalla collaborazione fra la Cineteca Comunale e l’Istituto Giovanni XXIII di Bologna con il contributo di Unipol. Lo scopo del progetto è la realizzazione di dieci filmini che abbiano come trama la vita stessa di altrettanti pazienti affetti dal morbo ed in cura nell’istituto, ripercorrendo la vita del paziente attraverso la narrazione degli eventi importanti. Alla fine, l’ipotesi è che mostrando il film ai pazienti ogni giorno per una ventina di minuti si possa riuscire ad aiutarne la riattivazione della memoria e il recupero del senso d’identità che la malattia tende a sbiadire e cancellare del tutto.
Cortometraggio sull’Alzheimer