Concetto di sé e sintomi depressivi: differenze transculturali
di Sonia Pasquinelli
La psicologia sociale studia da sempre le differenze transculturali nel modo di intendere il concetto di sé. Noi non nasciamo in una realtà asettica, ma in un mondo impregnato di cultura. Durante l’infanzia ci vengono trasmessi
una serie di codici, di idee, che non sono sempre impartiti esplicitamente come delle nozioni scolastiche, ma che spesso vengono assorbite in maniera naturale e spontanea.
Oggi è di moda parlare di “pressione sociale”, e vengono indagati i diversi modelli imitati da un gran numero di persone, e il fenomeno del cosiddetto “contagio sociale”. In realtà, prima ancora di indagare questi microfenomeni relativi ad un confronto che si instaura all’interno della società, sarebbe importante approfondire il confronto tra culture diverse, conoscere i tratti principali e caratteristici della nostra cultura, ma anche di quelle di cui non facciamo parte, per poter essere consapevoli del tipo e dell’entità del condizionamento a cui quotidianamente siamo sottoposti.
Gli studiosi sono concordi nel ritenere che esistano due tipi fondamentali di cultura, ciascuno con un preciso concetto di sé. Si parla di cultura individualista per indicare quelle in cui è connaturato lo sviluppo di un sé indipendente, come per la mentalità americana. Per cultura collettivista si intende invece quella in cui le persone possono riconoscersi nel concetto di sé interdipentente. Un esempio è il popolo giapponese, o altre etnie orientali. Queste diverse visioni del Sé portano a importanti ricadute sulle emozioni e sui comportamenti degli individui.
Il primo e più importante studio che ha contrapposto ad un “sé individualista” “occidentale” un “sé collettivista” del “resto del mondo” è quello di Markus e Kitayama (1991), che ha confrontato soggetti giapponesi e statunitensi con questionari ( scale di Likert), usando le medesime domande e presupponendo dunque che il significato di espressioni come “il sé” fosse esattamente lo stesso nelle due diverse “culture”. L’estrema stereotipizzazione dei partecipanti (statunitensi da un lato e giapponesi dall’ altro) ha fatto sì che non di tenesse conto delle differenze che caratterizzano l’interno della società americana e di quella giapponese: in realtà, la società americana non è affatto un gruppo omogeneo, e lo stesso si può dire per i giapponesi.
Eppure, una differenza significativa è stata rintracciata dai risultati dello studio. Il concetto di indipendenza per quanto riguarda la cultura americana è di immediata comprensione. Si tratta di concettualizzare la persona come un’entità libera e autonoma, coerente e stabile, separata dagli altri. Con l’espressione “sé interdipendente” viene invece valorizzata l’associazione e la collaborazione. Un’identità interdipendente è quella di una persona legata agli altri, fluida e flessibile, impegnata nel contesto in cui vive.
“ Nel concetto di Io del possessore di un “Io interdipendente” prevale l’identità sociale perché l’individuo tende a descrivere se stesso in termini di ruoli sociali e basa la sua autocondotta sulle aspettative dell’ambiente sociale. Al contrario, nell’identità del possessore di un “Io indipendente” prevale l’identità personale perché l’individuo tende a descrivere se stesso in termini di caratteristiche psicologiche e, base della sua autocondotta, diventa la capacità di esprimere le proprie qualità personali. Possiamo dedurre che la condotta degli individui con un “Io interdipendente” è determinata dai ruoli sociali e dalle aspettative dell’ambiente sociale; che essi sono meno tolleranti verso le avversità e le contraddizioni e ne consegue una condotta non efficace in situazioni incerte. Al contrario, gli individui con un “Io indipendente” si esprimono in modo creativo, si adattano facilmente in situazioni incerte e cambiano le loro tendenze non perché viene richiesto dell’ambiente e dalle condizioni esterne ma quando emergono esigenze autodeterminate -effettuano attività metasituazionali più intensamente che gli interdipendenti.” (Markus, Kitayama, 1991).
Una delle più recenti applicazioni di questa teoria è riferita ai sintomi depressivi. Una persona indipendente sarà più portata ad avere un pensiero rivolto a sé stessa, alle proprie esigenze, idee, desideri. Molte differenze culturali rilevate nell’esperire i sintomi della depressione sembra possano in parte essere fatti risalire alla tendenza ad avere un pensiero orientato verso l’interno o l’esterno.
Uno studio del Centre for Addiction and Mental Health (CAMH) – in collaborazione con la Concordia University, l’Università della British Columbia e la Central South University (Cina)- ha reclutato circa 200 pazienti dimessi da reparti psichiatrici della Cina e degli Stati Uniti e ha mostrato come, in un disturbo depressivo, le popolazioni dell’Asia orientale parlino solo dei sintomi fisici della depressione (scarso appetito, cefalea, dolori in diverse parti del corpo), mentre i soggetti nordamericani tendono ad enfatizzare i sintomi psicologici, raccontando di sentirsi tristi o di manifestare una diminuzione consistente dell’autostima.
“L’insorgenza della depressione scatena una risposta biologica che si esprime all’interno di un preciso contesto sociale, dando luogo a una cascata di esperienza somatiche e psicologiche che vengono interpretate attraverso una ‘lente culturale’: un’attenta traduzione dei metodi di verifica ha permesso di valutare in modo accurato i profili di sintomi registrati”, ha commentato Michael Bagby, ricercatore del CAMH, nonché uno degli autori dell’articolo pubblicato sulla rivista “Journal of Abnormal Psychology”.
La psicologizzazione dei sintomi – opposta alla somatizzazione a cui sono inclini gli asiatici, pare riflettere le differenze trans-culturali nell’avere un pensiero orientato verso l’interno o verso l’esterno: le persone dal sé indipendente sono abituate a leggere e analizzare le proprie emozioni.
In ogni caso, occorreranno ulteriori studi per comprendere a fondo l’interazione tra cultura e disposizioni temperamentali individuali e confermare i risultati ottenuti a proposito della diversa suscettibilità ai sintomi della depressione.