I potenti mezzi della Comunicazione Non Verbale

Esempio di comunicazione non verbale, pollice ok, pollice versoOgni essere vivente comunica con i suoi simili tramite la comunicazione non verbale. Solo la specie Homo sapiens ha dato alla luce, nei secoli, un linguaggio verbale così finemente sviluppato. La maggior parte degli organismi comunica esclusivamente con mezzi non verbali, simultaneamente o in una sequenza di turni. I vantaggi funzionali dell’uso di un canale di comunicazione diverso da quello acustico sono molteplici: ad esempio, il suono ha un carattere puramente transitorio, mentre i feromoni, che non sono altro che dei messaggeri chimici, hanno una maggiore durata nel tempo….

Gli uomini, invece, comunicano con mezzi verbali: manifestazioni particolari di questo genere sono le parole, la scrittura, ma anche i diversi linguaggi di segni come quello usato dai sordomuti.  Abbiamo una predisposizione naturale di base all’apprendimento di questi linguaggi.

Tuttavia, non tutti si esprimono secondo questi canali. I bambini, ad esempio, finchè non sviluppanola capacità di parlare- ma anche soggetti che in seguito a traumi, o per il semplice invecchiamento, hanno perso la capacità di parlare, esprimersi mediante gesti o scrivere- riescono comunque a comunicare con mezzi non verbali.

Spesso i biologi parlano di comunicazione non verbale per indicare tutti quei processi di natura chimica che coinvolgono  particelle subcellulari, cellule, ma anche tessuti, organi e apparati che si scambiano messaggi  trasmessi secondo diverse modalità.   

In psicologia, invece, parliamo di comunicazione non verbale per indicare quella porzione di una comunicazione che include gli aspetti dello scambio non immediatamente riconducibili al livello letterale, semantico del messaggio.

Facciamo qualche esempio. Molte specie utilizzano il corpo come strumento primario di comunicazione non verbale. Cani, gatti e moltissimi altri mammiferi esprimono atteggiamenti di aggressività, sottomissione, affiliazione con i movimenti del corpo.  Allo stesso modo, l’uomo spesso esprime volontariamente nella danza pensieri e sentimenti. Nelle diverse culture, specifica la comunicazione con una serie di altri elementi non verbali arricchiti di significati propri: dalla scenografia ai costumi, dalla musica alle luci. 

Tuttavia non sempre abbiamo il pieno controllo delle nostre comunicazioni non verbali. Le espressioni del viso, ad esempio, sono un potente strumento di trasmissione di determinate informazioni, di cui spesso non abbiamo consapevolezza. Il pianto, il broncio, le sopracciglia inarcate, così come gli sguardi e alcuni riflessi, hanno un valore universale di indubbia importanza.

La prossemica è la scienza che studia le disposizioni spaziali all’interno di una istanza comunicativa. Si occupa ad esempio di analizzare le distanze e l’organizzazione delle disposizioni interne di uffici, scuole, carceri, ospedali, mostre. 

Il termine è stato coniato nel ’63 dall’antropologo Edward Hall. I suoi studi spaziavano in più direzioni: innanzitutto si occupò della correlazione tra distanza fisica e distanza sociale tra i diversi individui, definendo quattro “zone di relazione interpersonale”:  

–          La distanza intima, fino ai 45 centimetri;

–          La distanza personale (45-120 cm) nell’interazione tra amici;

–         La distanza sociale (1,2-3,5 metri) per la comunicazione tra conoscenti;

–         La distanza pubblica (oltre i 3,5 metri) per le pubbliche relazioni.

Studiò poi numerose differenze interculturali, che descrisse nel libro “La dimensione nascosta”. La gestione delle distanze è infatti determinata dal contesto in cui si cresce, dalla cultura di appartenenza, nonché dal sesso degli individui.

“Gli arabi preferiscono stare molto vicini tra loro, quasi gomito a gomito, gli europei e gli asiatici si tengono invece fuori dal raggio di azione del braccio. In alcune regioni meridionali dell’India, dove la distanza che gli appartenenti alle diverse caste devono mantenere fra di loro è rigidamente stabilita, quando gli individui della casta più bassa incontrano i brahmani, la casta più elevata, debbono tenersi a una distanza di 39 metri.

Altra differenza è quella tra i sessi, i maschi si trovano più a loro agio a lato di una persona, invece le femmine di fronte.

Particolare rilevanza ha acquistato anche la prossemica dell’ascensore: ad esempio gli europei in ascensore si pongono a cerchio con la schiena appoggiata alle pareti, mentre gli americani si pongono in fila con la faccia rivolta alla porta.

Ma come mai oggi è tanto diffuso l’interesse per questo “linguaggio del corpo”, a tal punto che nelle maggiori città italiane fioriscono scuole che offrono proprio seminari per imparare le tecniche più efficaci per interpretarlo?

Lo psicologo statunitense Albert Mehrabian ha condotto, nel 1972, uno studio molto interessante, mostrando che l’efficacia di uno scambio comunicativo ben poco dipende dalle parole che vengono scambiate, ma è influenzata soprattutto da aspetti della comunicazione non verbale.

Così suddivise l’importanza delle diverse componenti:

–          Movimenti del corpo (soprattutto espressioni facciali) 55%

–          Aspetto vocale (Volume, tono, ritmo) 38%

–          Aspetto verbale (parole) 7%

 

Facciamo qualche esempio: il tono, che subisce l’influenza di  fattori fisiologici come l’età, o la costituzione fisica, è anche un buon indicatore del livello sociale: pare infatti che una persona di livello piuttosto alto, che si trovi a parlare con una di livello sociale decisamente più basso, tenderà ad mantenere un tono di voce più grave. Lo stesso discorso vale per il ritmo: parlare con un ritmo molto lento, con l’inserimento di pause nei punti di maggior rilevanza, tra le diverse frasi, conferisce un tono solenne ed autorevole al messaggio.  Un ritmo fluido ottiene l’effetto opposto.

 

Persino il silenzio gioca un ruolo importante, mediato dal contesto:  può essere un silenzio carico di significato, come quello di  due innamorati che comunicano con lo sguardo, o semplicemente può comunicare rispetto, pensiamo ad una classe che resta in silenzio in seguito all’ingresso di un insegnante.

Per quanto riguarda i movimenti del corpo, abbiamo sottolineato l’importanza delle espressioni del viso.

La mimica facciale è una branca del sistema cinesico, e non sempre è sotto il nostro controllo (pensiamo ai fenomeni involontari dell’arrossire o impallidire). Gli studiosi della comunicazione della scuola di Palo Alto, tra cui Paul Ekman e Wallace Friesen, hanno classificato ben quarantaquattro elementi di base del movimento del viso umano, dallo stringere gli occhi allo storcere il naso.

Nelle diverse culture sussistono differenti linee di interpretazione di queste unità di base della mimica facciale. Tuttavia, numerosi studi (cfr. James Russel) hanno fermamente sostenuto e dimostrato l’esistenza di  alcune espressioni universali, che godono di percentuali di riconoscimento elevate anche tra persone di nazionalità differente. Tra queste, la gioia, la tristezza e la rabbia.

I gesti delle mani hanno spesso l’importante funzione di sottolineare il messaggio espresso a parole. Eppure a volte costituiscono un canale di comunicazione incoerente con il messaggio verbale,e permettono di svelare con una chiave di lettura nuova, specifica, le reali intenzioni dell’interlocutore.

In questo campo è importante considerare le differenze interculturali, che hanno un peso non indifferente: in Bulgaria, ad esempio, scuotere il capo ha un significato affermativo, e in Inghilterra il gesto della mano chiusa, con indice e medio alzati, è una grave offesa (eppure da noi  si tratta di un segno di vittoria).

Ecco allora che sviluppate competenze nel campo dell’interpretazione di questi segnali diventano un mezzo potente da sfruttare per una più completa comprensione della persona che abbiamo davanti, e delle forze in gioco nella situazione in cui ci troviamo. Dallo sguardo sfuggente o meno, dalla postura e dalla fissità delle espressioni, possiamo capire se gli altri sono interessati a noi.

Inoltre conoscere il linguaggio con cui involontariamente ci esprimiamo, padroneggiarlo, ci permette di fornire un’immagine di noi coerente con quella che vorremmo gli altri avessero.

di SONIA PASQUINELLI

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2. La comunicazione non verbale: esempi dalla quotidianità e dal cinema

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