L’anoressia maschile
L’anoressia nervosa maschile, ovvero la ManorexiA
Manorexia: così chiamano la controversa patologia dell’anoressia maschile.
Nonostante il forte collegamento di questo disturbo alimentare con il genere femminile, stanno aumentando i casi in cui tale affezione è presente anche nei maschi.
Dagli Anni Sessanta a oggi sono stati condotti diversi studi (principalmente in America) volti a indagare quali fossero le cause e le caratteristiche principali della manorexia che, come nel caso dell’anoressia femminile, sembra aver preso piede soprattutto nel mondo delle passerelle.
Corpi che prima erano muscolosissimi e perfetti ora sono niente di più che carne (poca) e ossa.
E, disgraziatamente, non si può più parlare di rarità dei casi.
Nella vita quotidiana i disturbi alimentari sono comunemente considerati roba da donne. Acqua passata. Dagli Anni Novanta a oggi, c’è stato un brusco aumento della sintomatologia anoressica in soggetti maschili.
Oggi in Italia gli uomini che soffrono di anoressia sono 670 mila sui 3 milioni complessivi di malati (quasi l’80% sono ancora donne). È un numero che si è triplicato dall’inizio del Duemila. Lo dicono i dati dell’Aba, l’Associazione per la ricerca sull’anoressia, la bulimia e i disturbi alimentari. «È un fenomeno in crescita esponenziale — denuncia Fabiola De Clercq, fondatrice e presidente di Aba —. Adesso non si possono più chiudere gli occhi. All’origine, come per il sesso femminile, rapporti difficili con i genitori, vita di coppia sbagliata, traumi infantili ».
Pare che l’età di esordio dei disturbi alimentari maschili sia da collocarsi intorno all’adolescenza, nel momento in cui gli individui si pongono di fronte al problema di come strutturare la propria identità di adulti.
Carlat, Camargo et al. (1997) hanno condotto una indagine su 135 pazienti maschi affetti da DCA, uno dei lavori con il campione più elevato fra la letteratura scientifica; l’età media di esordio dei pazienti presi in esame era di 19 anni.
Non contano né titolo di studio né ceto sociale: quasi sette pazienti su dieci hanno in tasca il diploma (il 12% la laurea), il reddito è quello tipico della middle class per il 56,2% (per il 28,5% è alto, solo per il 15,3% basso). I più colpiti sono i maschi tra i 19 e i 40 anni (pari al 55,5% dei casi). Uno studio condotto nel 2006 dallo Iard, istituto specializzato nello studio dei fenomeni giovanili, mostra che un ragazzo su quattro tra i 15 e i 34 anni è ossessionato dal peso (per intercettare soprattutto i giovanissimi Palazzo Chigi ha istituito il sito web www.timshel.it). Ormai l’anoressia maschile è diffusa a qualsiasi fascia d’età: il 7% dei malati ha meno di 12 anni, il 21% tra i 12 e i 18, il 16,5% è over 40. La comparsa dei disturbi alimentari avviene sempre prima. Ci sono, infatti, bambini che si ammalano già alle elementari.
In uno studio condotto nel 2005, su un campione di 95 studenti della seconda classe della scuola media inferiore, è emerso che il 12,8% dei maschi erano a rischio di sviluppare un disturbo del comportamento alimentare. Un dato rilevante se si pensa che questa percentuale può aumentare nettamente anno dopo anno.
La diagnosi di anoressia maschile è ancora controversa: i medici, spesso, non si aspettano di trovarsi di fronte un uomo anoressico ed associano i sintomi del paziente ad altre e diverse patologie di natura organica.
Alcuni autori, in ricerche recenti, hanno supportato l’ipotesi di indagare aspetti quali la perdita di interesse sessuale, episodi di impotenza e abbassamento dei livelli di testosterone. Un maschio affetto da anoressia può posticipare la richiesta di cure a causa della vergogna associata alla convinzione e al retaggio culturale di avere una malattia “femminile”.
Quest’ultima motivazione può essere all’origine anche della scarsa attenzione che gli stessi curanti prestano alla sintomatologia anoressica in soggetti maschi, avendo, forse, un livello di sospetto più basso che porta ad una diagnosi di anoressia solo quando il disturbo risulti essere ormai conclamato.
Oggi sappiamo con certezza che questa esiste, che ha componenti del tutto simili a quella femminile e alcune diversità che la caratterizzano.
Un lavoro canadese pubblicato nel 2001 descrive queste diversità e gli aspetti comuni nei due sessi. Lo stesso gruppo di ricerca però ipotizza anche alcune possibilità di trattamento del disturbo, e stanno nascendo interessantissime correlazioni tra il vissuto femminile o maschile e l’espressione di questa malattia. I ricercatori canadesi (Am J Psychiatry 2001 Apr;158(4):570-4) hanno confrontato 62 uomini che rispondevano ai criteri diagnostici per i disturbi alimentari (anoressia e bulimia) con 212 donne con le stesse caratteristiche.
Le modalità sono quasi identiche nell’uomo e nella donna, ma nei soggetti di sesso maschile si può rilevare una presenza statisticamente più elevata di altre patologie psichiche (il termine tecnico è “comorbilità”). Inoltre si rileva che l’uomo tende a nascondere questa condizione di disagio, e ha paura a parlarne in pubblico.
Il fatto che la malattia sia la stessa però non deve trarre in inganno; si è osservato, infatti, che gli specialisti tendono a diagnosticare il disturbo più spesso se si tratta di una donna, più raramente se si tratta di un uomo.
Una prima ragione sta nel fatto che, in stadi avanzati della malattia, esiste un sintomo nella donna, l’amenorrea (ossia l’arresto del ciclo mestruale), che non ha corrispettivi così evidenti nell’uomo. Nel maschio lo scompenso ormonale si manifesta come un calo drastico del desiderio sessuale, se non addirittura impotenza, causati dal blocco o inibizione della produzione di testosterone operato dall’organismo denutrito. Un secondo motivo nasce dal fatto che i soggetti maschi tendono a dare spiegazioni più ragionevoli, spesso mediche, per le loro condotte patologiche.
Per controllare il proprio peso e la propria forma, i maschi anoressici utilizzano lassativi e farmaci in maniera minore rispetto alle donne (25% contro il 50%) ma sono maggiormente coinvolti in attività sportive che enfatizzano la forma fisica e sono più portati a utilizzare l’esercizio eccessivo.
Quando un maschio contrae una anoressia o una bulimia, anche i fattori predisponenti e scatenanti di tipo psicologico sono simili a quelli dei disturbi alimentari femminili.
Anche in questo caso sono presenti:
- sentimenti di bassa autostima,
- scarsa consapevolezza agli stimoli corporei,
- ansia di accettazione sociale,
- disturbi dell’umore,
- incapacità ad affrontare le emozioni ed i problemi personali,
- problematiche nei rapporti familiari.
In alcuni casi i maschi anoressici, rispetto alle donne, sono meno preoccupati per il peso esatto, meno insoddisfatti del proprio corpo e più rivolti alla forma in termini di accresciuta muscolosità e perdita di grasso e con una condotta alla magrezza più contenuta. Gli uomini non presentano particolari preoccupazioni, ad esempio, per la grandezza di cosce, anche e natiche, non essendo target adeguati; sono invece maggiormente rivolti alle dimensioni delle spalle, della vita e delle anche.
Un lavoro svolto da ricercatori inglesi (Int J Eat Disord 2001 Apr; 29(3):314-8) segnala un rapporto tutto da approfonfdire tra la percezione della propria sessualità e anoressia/bulimia. Secondo questi ricercatori infatti tra i soggetti maschili che si identificano nel sesso femminile, la presenza di disturbi del comportamento alimentare è sicuramente più elevata. Gli stessi ricercatori ipotizzano che questa diversità possa essere stimolata dalla rappresentazione sociale di un “modello femminile” che viene utilizzato da chi si identifica nel disagio femminile.
Herzog rivelò che i pazienti anoressici maschi provano isolamento sessuale, inattività sessuale e conflitti omosessuali, ipotizzando che le pressioni culturali e l’omosessualità maschile possono essere fattori di rischio per sviluppare DCA, ovvero disturbi del comportamento alimentare. Sembra quindi che l’omosessualità sia un fattore determinante, infatti quasi il 50% dei soggetti anoressici manifesta dubbi sulla propria identità sessuale.
Nonostante sia difficile ammettere di avere questo tipo di patologia per entrambi i sessi, per gli uomini si aggiunge un’ulteriore fonte di vergogna: soffrire di una malattia tipicamente femminile. In questo il soggetto con disturbi dell’alimentazione vede lesa la sua virilità.
Per questo è fondamentale che gli psicologi considerino come la mascolinità impatta sulla diagnosi e sul trattamento di questi disturbi.
Gli affetti presentano inoltre difficoltà a richiedere aiuto ad operatori specializzati, mentre è frequente il ricorso a specialisti per problemi secondari derivanti dalla o concomitanti alla loro condizione come depressione sovrappeso, ansia sociale o disturbi ossessivi compulsivi. Inoltre, bisogna aggiungere che spesso la mascolinità è associata a diffidenza, ad un giudizio negativo verso gli interventi psicologici e conseguentemente ad una minore frequenza di richieste d’aiuto.
Il soggetto prova una forte ambivalenza nei confronti delle richieste d’aiuto, infatti qualora decidesse di trattarsi, sentirebbe minacciati i “risultati” ottenuti attraverso l’esercizio e il controllo dell’alimentazione, di contro, qualora rinunciasse al trattamento, continuerebbe ad essere tormentato da preoccupazioni riguardanti il suo aspetto fisico e sarebbe costretto a continuare ad assumere sostanze per il potenziamento muscolare (e.g. steroidi).
Nonostante non ci sia in letteratura uno studio volto ad indagare proprio questo aspetto, sembra che i risultati del trattamento siano altrettanto buoni sia per gli uomini che per le donne con alcune importanti differenze. Mentre gli uomini sembrano essere in grado di riacquisire un peso normale più velocemente delle donne, queste si dimostrano più capaci di controllare i sintomi della malattia anche a lungo termine, nonostante alcune di esse fossero state ammesse al trattamento in condizioni psico-fisiche peggiori dei maschi.
I due sessi condividono inoltre molti predittori per una buona prognosi, come ad esempio peso particolarmente basso, assenza di serie malattie in comorbilità e alto supporto familiare.
Predittori specifici per una peggiore prognosi maschile sono stati identificati e tra questi rientrano la lunga durata della malattia, l’insorgenza tardiva, il disinteresse verso gli sport, relazioni sociali controverse, scarso adattamento sociale durante l’infanzia e mancanza di attività sessuale prima dell’insorgenza della malattia.
Gli psicologi che si apprestano al trattamento di pazienti maschi con disturbo alimentare, possono utilizzare la mascolinità del soggetto come leva per il cambiamento enfatizzandone i lati positivi e sfruttandone le peculiarità. Ad esempio, dato che è meno probabile che gli uomini chiedano supporto psicologico, il terapista può sottolineare come l’inizio della terapia sia la dimostrazione del fatto che il paziente sta esercitando controllo sulla sua vita, controllo volto al miglioramento.
I principi base per il trattamento dei disturbi alimentari per le donne si applicano anche agli uomini: impegnarsi per ristabilire un peso normale, abbandonare comportamenti lesivi, trattare le malattie in comorbilità, sconfiggere le preoccupazioni riguardo il peso e la forma fisica e insegnare strategie d’adattamento ai propri ruoli sessuali e socioculturali. L’approccio consigliato è multidisciplinare in modo che coinvolga oltre allo psicologo ed al paziente, un medico che monitori la sua condizione fisica nel progredire del trattamento, un dietologo che educhi il paziente a proposito della nutrizione, metabolismo ed esercizio fisico, ed uno psichiatra che tratti eventuali patologie associate.
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