Il mestiere del genitore
Il mestiere del genitore – 2
Prima ci si fidanza, poi si convola a nozze e poi arrivano i figli. L’ordine non è sempre questo, ma
poco importa se la tappa successiva è la separazione dei coniugi. Chi soffre di più? Difficile a dirsi
stando ai recenti fatti di cronaca.
Correva l’anno 1989 -per la precisione il 2 ottobre- quando, su Rete 4, venne trasmesso per la
prima volta il programma “C’eravamo tanto amati”, in cui coppie di sposi in crisi dibattevano, sotto
la moderazione del conduttore Luca Barbareschi, sulle tematiche spinose del matrimonio, come
tradimenti, disaccordi sulla vita di tutti i giorni e con i figli; i coniugi erano supportati da parenti o
amici che argomentavano la loro tesi durante la puntata mentre il pubblico –divertito- patteggiava
per l’uno o per l’altro coniuge. Il programma non è più in onda, anche se su alcuni canali satellitari
viene trasmessa qualche replica di tanto in tanto.
Ciò non significa però che il problema delle separazioni non sia più in auge, anzi.
Sempre sul piccolo schermo personaggi dello spettacolo raccontano le peripezie che hanno dovuto
(o che tuttora devono) affrontare per l’ottenimento di mantenimenti e affido dei figli; i fatti di
cronaca nera raccontano di coniugi separati che, esasperati, ingelositi o cos’altro, arrivano ad
estremi gesti, che inevitabilmente si ripercuotono sui figli.
Chi soffre di più?
Proprio i figli costituiscono, 9 volte su 10, il motivo del contenzioso più aspro: genitori fino a poco
prima assenti che vogliono affermare il proprio diritto di genitore, si battono legalmente contro
l’ex coniuge, in quella che diventa una escalation di calunnie, al fine di dipingersi “migliori”
dell’altro genitore. I toni si alzano sempre di più, i rilanci sfiorano la diffamazione… e i figli?
L’aspetto paradossale è che le crociate che i “separandi” intraprendono sarebbero volte a stabilire
quale genitore può fornire il migliore ambiente per l’armoniosa crescita della prole (affidamento),
prole che –tuttavia- oltre ad essere l’oggetto del contenzioso, è la stessa persona (o più di una) che
osserva le varie “verità” che vengono presentate relative a papà e mamma dagli avvocati dell’una
e dell’altra parte. Ma se i due genitori sono due “mostri” come è possibile determinare –soprattutto
agli occhi di un minore- quale sia l’ambiente armonioso di cui sopra?
Escludendo i casi limite di violenza e abusi, ciò che spesso sfugge è il fatto che la separazione è una
volontà esclusiva dei due coniugi e non della prole che, volente o nolente, è comunque affezionata
ad entrambe le figure genitoriali e che, quindi, ritiene che l’ambiente in cui ha avuto modo di
crescere fino ad oggi, sia l’ambiente armonioso. Un figlio o una figlia, soprattutto se in tenera età,
può non comprendere la necessità di operare una “scelta del genitore con cui stare” e, trovandosi
spettatore di un’aspra lite, in cui epiteti e insulti volano senza censura, si trova confuso/a. Ciò
costituisce spesso un vero e proprio trauma per i figli i quali arrivano anche a immaginare di essere
loro la ragione dei “dissapori” tra papà e mamma.
Per questo motivo il presente articolo non si intitola “Separazione”, ma “Il mestiere del genitore
– 2”; se ne “Il mestiere del genitore” si asseriva che papà e mamma non vanno mai in vacanza
(e questa è una sintesi un po’ grossolana di tale articolo), gli stessi non cessano di essere genitori
nel momento in cui non sono più coniugi (o coppia). La differenza che corre tra un figlio e i beni
materiali acquisiti all’interno dell’unione coniugale sta proprio nell’inscindibilità della prole.
Si può quindi decidere di non essere più “marito di …” o “moglie di …”, ma non è possibile cessare
di essere “genitore di …”.
Come conciliare quindi il “non essere più coniuge” con l’”essere genitore”?
Un figlio nasce dalla fusione di due gameti, uno di ogni genitore, quindi è –per così dire-
determinato da parti uguali dell’uno e dell’altro genitore. Durante una separazione capita –
inconsciamente- che si noti nei propri figli quel 50% dell’altro genitore, una metà che tanto si
detesta in quel momento; sempre inconsciamente si può sviluppare l’idea di poter sanare quel
50%, avendo “l’affidamento esclusivo”, quasi fosse una malattia che, se presa sul nascere, può
lasciare sperare in una prognosi fausta. Questa è una visione materialistica dei figli, una scissione
tra “bene” e “male” (dove, ovviamente, è l’altro coniuge a costituire il male). Essere genitore
significa originare un tutto (e non un 50% + 50%), educare ed istruire un individuo che è un tutto,
una entità nuova e distaccata dai genitori, che non appartiene a loro, ma che vive supportato da
loro. E il figlio o la figlia, a sua volta, vede i genitori come un tutto poiché loro sì sommati, danno
il “totale genitoriale”. Alla luce di ciò si comprende come le due posizioni, “coniuge” e “genitore”,
non siano né da conciliare, né da integrare, essendo due ruoli diversi, pressoché indipendenti.
Si potrebbe infatti dire che non è necessario essere coniugi per essere genitori e non è indispensabile
essere genitori per essere anche coniugi.
Dott. Gianluca Franciosi
Leggi anche Il mestiere del genitore, parte prima